
Recentemente, infine, Riyadh ha intrapreso una terza strada, quella delle riforme interne: per la prima volta, infatti, il Re ha allargato anche alla donne l’elettorato attivo e passivo, anche se permane il divieto di guidare senza il permesso di un uomo.
Come si può spiegare questa ambivalente politica dell’Arabia Saudita? Le ragioni non sono difficili da comprendere e riguardano direttamente la natura della monarchia saudita e le sue peculiarità geopolitiche. Estremamente conservatrice, la monarchia ha sempre espresso un forte pragmatismo direttamente connesso con gli interessi finanziari e militari del Paese. L’alleanza con il “grande Satana” americano, infatti, risponde sia all’interesse di Riyadh di ottenere le capacità tecnologiche per estrarre il greggio e sia alle esigenze di garantirsi una protezione militare contro il nemico storico nella regione: la Repubblica Islamica dell’Iran. Teheran, infatti, non rappresenta per Riyadh solamente un competitor economico (sono Paesi entrambi leader nell’esportazione del greggio), ma si configura come un vero e proprio nemico ideologico non soltanto per la fede espressa dalla sua popolazione (l’Islam sciita), ma anche per quell’ideologia rivoluzionaria khomeinista che minaccia direttamente le basi tradizionali del potere sunnita.
Lo status quo, quindi, rappresenta per l’Arabia Saudita la via più auspicabile. Il problema, chiaramente, è che niente è prevedibile fino in fondo: per un verso, quindi, è certamente vero che l’Arabia Saudita è un Paese estremamente lento nei cambiamenti suoi politici (anche grazie alla non necessità di seguire il principio del “no taxation without representation”), ma per un altro verso questa non può sfuggire pienamente alle diverse insidie che ne minano la stabilità nel prossimo futuro. In questa sede è possibile citarne almeno tre:
1-Gli Stati Uniti: Gli Usa rappresenta un alleato strategico per Riyadh. l’Amministrazione Obama, però, ha fatto dell’appoggio alla Primavera Araba una sua forza. Una mossa per nulla gradita a Riyadh. In questi mesi il Dipartimento di Stato americano sta premento sulla monarchia saudita per favorire una maggiore apertura ai diritti politici e civili. Come detto, piccoli importanti gesti sono stati fatti, ma la strada è ancora lunga ed è difficile credere che gli Al Saud siano disposti ad concedere un modello di democrazia in stile occidentale;
2- La minoranza sciita: la minoranza sciita vive nelle ricche regioni petrolifere dell’est e i recenti scontri scoppiati nella città di al-Qatif (14 feriti tra protestanti e rivoltosi) hanno chiarito come l’insoddisfazione sia latente. La monarchia sunnita ha accusato una potenza straniera di aver generato gli scontri (si legga l’Iran). Non è impossibile che ci sia un coinvolgimento indiretto di Teheran, ma lo scontento della minoranza sciita è noto e rappresenta una minaccia diretta alla stabilità degli Al Saud;
3- I giovani sauditi: l’Arabia Saudita, a dispetto della sua realtà politica, è un Paese attivo e tecnologico. Per quanto tradizionalisti, i giovani sauditi sono alla ricerca di quelle nuove forme di libertà civili che naturalmente si accompagnano alla sviluppo economico. Le donne, in particolare, richiedono una partecipazione alla vita del Paese che non sia solamente politica, ma anche sociale. La speranza per Riyadh è che l’ingresso delle donne in politica permetta loro anche un reale avanzamento in fatto di libertà e di autonomia. Un processo indubbiamente nuovo e pieno di insidie per Riyadh, ma ormai imprescindibile.
Insomma, a dispetto delle apparenze l’Arabia Saudita è un Paese in fermento. L’alleanza con gli Stati Uniti è per entrambi i Paesi imprescindibile, ma i soli interessi economici e i timori geopolitici non possono più bastare per fermare completamente quello sviluppo politico, sociale e civile che la popolazione saudita attende da tempo.
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