martedì 9 agosto 2011

RIYADH E ANKARA ABBANDONANO IL REGIME SIRIANO NELLA SPERANZA DI FERMARE TEHERAN...

La rivolta siriana prosegue ormai da mesi e, a quanto pare, non accenna a fermarsi. Il Presidente Bashir al-Assad ha strategia a due profili: per un verso ha lanciato un dialogo nazionale volto alla riconciliazione e ha varato un decreto permette la formazione di nuovi partiti (promettendo nuove elezioni per la fine del 2011); per un altro verso, il peggiore, ha iniziato una terribile campagna repressiva che da giorni sta mettendo a fuoco e fiamme le città di Hama e di Deir ez Zor. A quanto pare, però, questa strategia bifronte – favorita dal sostegno attivo nella repressione da parte del dell’Iran – sembra destinata ad un drammatico fallimento per diversi motivi.

In primis per motivi interni: il dialogo nazionale lanciato dal Presidente Assad, come suddetto, si sta trasformando praticamente in un “dialogo unilaterale”, in cui nessuno crede più. D’altronde, vedendola dalla parte delle opposizioni, è difficile, ovviamente, credere in qualcuno che parla di riforme e – nella stessa giornata – manda i carri armati a bombardare i centri nevralgici del dissenso siriano. Assad ha autorizzato la formazione di nuovi partiti ponendo, però, la condizione che rispettino la Costituzione siriana e che non “prendano fondi dall’estero”: un bel modo per lasciare campo libero nella repressione degli oppositori considerati pericolosi al sistema.

Il secondo motivo per cui la strategia di Assad si sta rivelando un fallimento è invece legato all’asse con il regime iraniano e con il movimento Hezbollah. Teheran, come noto, sta cercando di fare il possibile per salvare il regime siriano: è da qui, infatti, che le armi dei Pasdaran giungono indisturbate alle milizie sciite libanesi. Per salvare Bashir, Khamenei ha inviato in Siria uomini, soldi e parecchi armamenti e tecnologie per il controllo delle comunicazioni. Più passa il tempo, però, e più il “Patto tripartito” in salsa mediorientale scricchiola. L’Iran sta seriamente mettendo le mani su parte dell’Iraq e, da parte sua, dentro la dirigenza di Hezbollah pare ci sia una fronda contraria al sostegno al Rais siriano. Per molti, infatti, schierando il Partito a fianco di Assad, Nasrallah sta mettendo in serio pericolo la “credibilità” rivoluzionaria di Hezbollah.

In terzo luogo il fattore diplomatico. L’Unione Europea, ormai da qualche settimana, ha approvato le sanzioni contro Assad e lo stesso Consiglio di Sicurezza, con estrema fatica, ha alla fine condannato le repressioni in Siria (l’Italia ha ritirato il suo Ambasciatore a Damasco). Le notizie peggiori per Bashir, però, arrivano dalla regione mediorientale. Re Abdullah dell’Arabia Saudita ha ritirato il suo Ambasciatore, seguito a ruota dal Bahrain e dal Kuwait. La mossa di Abdullah, ovviamente, rappresenta un monito all’Iran sciita, un rivale diretto della monarchia sunnita degli al-Saud. La Turchia, da parte sua, ha ammonito Damasco a terminare immediatamente le repressioni e a compiere delle riforme vere subito. Per Ankara il rischio di una Siria instabile e preda delle fazioni è altissimo: non soltanto la Turchia sta sopportando il peso dei profughi siriani, ma l’instabilità di Damasco sta lasciando campo libero alle attività del Pkk nel Kurdistan turco. Erdogan è stato chiaro: “Man daqqa, duqqa…”, chi picchia duro sarà picchiato, una maniera molto diretta per dire che se le cose non cambieranno i militari turchi interverranno direttamente nell’area (creando una zona di cuscinetto tra Turchia e Siria).

Pur non potendo fare previsioni certe, ad oggi sembra difficile capire come Bashir al Assad potrà salvare il regime creato dal padre Hafiz. La notizia della morte del Ministro della Difesa Habib, contrario pare alla repressione su Hama, fa trasparire inoltre le spaccature all'interno dell'elitè al potere (la notizia è stata smentita dal regime. Habib ha pubblicato successivamente un video per provare di non essere morto). La nomina del Capo di Stato Maggiore Daoud Rajiha, di fede cristiano ortodossa, come nuovo Ministro della Difesa rientra quindi nel tentativo di Assad di continuare a tenere attaccato al regime l’esercito e la minoranza cristiana. Una mossa certamente interessante, ma che indubbiamente non inciderà nell’arduo processo di riconciliazione nazionale.



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