venerdì 5 agosto 2011

LA RIVOLUZIONE NELLE "CIVIL-MILITARY RELATIONS" IN TURCHIA: ANALISI E PROSPETTIVE

Si potrebbe chiamarla la “rivoluzione nelle civil-military relations” in Turchia. Quanto sta accadendo in questi giorni ad Ankara, rappresenta una vera e proprio svolta storia per quanto concerne la politica interna (e non solo) della Repubblica creata da Mustafa Kemal Atatürk nel 1923. Si ricorderà che, con lo scoppio dello scandalo denominato “Ergenok” e dopo il cosiddetto “affare Bayloz”, tra i vertici militari e il Governo era scoppiato un vero e proprio scontro politico. In un raid improvviso, infatti, Erdogan aveva fatto arrestare numerosi vertici militari e intellettuali di rilievo con l’accusa di voler creare una “strategia delle tensione” nel Paese e favorire un golpe militare.

La storia della Turchia contemporanea, si ricorderà, è stata caratterizzata più volte dallo scontro tra l’istituzione laicista per eccellenza, l’esercito e tutti coloro che hanno tentato di rivoluzionare gli schemi instaurati dal “Padre dei Turchi”(Atatürk). Non si scordi, infatti, che proprio con la motivazione di voler difendere il carattere laico della nazione, i militari turchi sono intervenuti ben quattro volte (1960, 1971, 1980, 1997). L’ultimo intervento, nel 1997, servì a bloccare l’ascesa al potere del “Refah Partisi” (Partito del Welfare), di matrice islamica e guidato da Necmettin Erbakan.

Con l’arrivo al potere dell’AKP di Erdogan nel 2003, la questione della laicità della Turchia è rientrata pienamente nel dibattito politico di Ankara. Per evitare un nuovo golpe militare, il Primo Ministro Erdogan ha usato il pragmatismo: una politica islamista “controllata” e una politica estera orientata all’ingresso verso la laica Unione Europea. Un’UE a cui, probabilmente, in Turchia oggi pochi credono, ma che ha certamente permesso ad Erdogan di governare più serenamente. Come detto, gli arresti derivati dal caso “Ergenok” hanno scosso notevolmente l’elitè politica turca. Tra gli arrestati, molto simbolicamente, c’era anche il novantenne Generale Evren, protagonista principale del colpo di Stato del 12 settembre del 1980 e fortemente avverso all’apparato religioso del Paese.

La lotta interna tra esercito e potere esecutivo è proseguita silenziosamente sino a quando, il 29 luglio scorso, i vertici delle Forze armate – Capo di Stato Maggiore, dell’Aviazione, delle forze di Terra e della Marina – hanno rassegnato tutti contemporaneamente le dimissioni, in polemica con Erdongan che non voleva accettare le promozioni di diversi ufficiali coinvolti negli arresti per il caso “Ergenok” (il Capo di Stato Maggiore dimessosi si chiamava Işık Koşaner). Non è dato sapere se le dimissioni dei Vertici militari rappresentassero una dichiarazione di sconfitta verso l’esecutivo o un tentativo di forzare la mano per mettere il Governo stesso in difficoltà. Sta di fatto, però, che Erdogan e i suoi sono riusciti a parare il colpo e ad avviare una sostituzione controllata delle nomine all’interno dello YAŞ, il Consiglio Supremo di Sicurezza.

Lo YAŞ, va ricordato, è composto dal Primo Ministro, dal Ministro della Difesa, dal Ministro dell’Interno e dai Capi delle Forze Armate (Esercito, Aviazione, Marina), dal capo dei Servizi di Intelligence e dal Capo dei Jandarma (una sorta di Gendarmeria turca). Erdogan, in soli quattro giorni, ha quindi nominato il Generale Necdet Özel come nuovo Capo di Stato Maggiore fino al 2015, il Generale Hayri Kıvrıkoğlu come nuovo capo delle Forze di Terra, il Generale Emin Murat Bilgela a Capo della Marina, il Generale Mehmet Erten a capo dell’Aeronautica (promuovendolo appositamente per questa nomina a Generale a tre stelle) e il Generale Bekir Kalyoncu a capo della Gendarmeria.

Non solo: secondo quanto si può leggere sul quotidiano turco Today’s Zaman il Governo, per bocca del Vice Primo Ministro Bekir Bozdağ, avrebbe annunciato l’intenzione di abolire le potenti Corti Militari e di fare in modo che lo Staff Generale (che presiede le Forze Armate turche) risponda delle sue azioni direttamente al Ministro della Difesa. Una norma cardine di ogni sistema democratico che, però, nella laicista Turchia rappresenta una vera e propria rivoluzione copernicana.

Da questa storia è possibile trarre una doppia lettura di quanto sta accadendo ad Ankara: per un verso è indubitabile che la democratizzazione della Turchia debba passare per il controllo politico dell’apparato militare, un cardine delle buone relazioni tra civili e militari. In questo senso, quindi, quanto accaduto al vertice delle Forze Armate rappresenta un passo in avanti, anche verso l'Unione Europea. Per un altro verso, però, la Turchia deve continuare ad assicurare la laicità dello Stato, evitando di favorire l’inserimento della Shaari’a nella futura Costituzione.

Infine, uno sguardo alla politica estera: l’opzione “zero nemici” del Ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu. Il “Kissinger Turco” ha favorito la nascita di una politica estera “neo ottomana” improntata alle buone relazioni con tutto il vicinato, Siria e Iran in primis. L’effetto è stato quello di allontanare Ankara da Gerusalemme e di ammorbidire la sua posizione all’interno dell’Alleanza Atlantica. Quanto sta accadendo in Siria con la repressione delle rivolte popolari e il rischio che l’Iran sciita costruisca un ordigno atomico non dovrebbe far dimenticare mai alla Turchia che, al di là dell’importanza del business regionale, il suo ruolo naturale è ancora strategicamente legato all’Occidente.

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