lunedì 1 marzo 2010

IL VERTICE DI DAMASCO E LA STRATEGIA DELLA SIRIA

di Daniel Arbib Tiberi

Il 25 febbraio scorso, si è svolto a Damasco un importante Vertice per il rafforzamento del fronte anti-occidentale. Il Presidente siriano Bashir al-Assad, infatti, ha ricevuto la visita del Presidente iraniano Mahumoud Ahmadinejad e del Segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah.
Durante questa visita, il Presidente iraniano ha incontrato privatamente anche il leader di Hamas in esilio Khaled Meshaal, il Segretario generale della Jihad Islamica palestinese Ziad Nahla e Ahmed Jibril, fondatore e leader del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina-Comando Generale (FPLP-CG).



Dopo le visite private, in una conferenza stampa congiunta, Bashir al-Assad e Ahmadinejad hanno pubblicamente sostenuto la legittimità del programma nucleare iraniano (definendolo, a discapito del recente rapporto dell’AIEA, “pacifico”), minacciato Israele di distruzione in caso di guerra e, dulcis in fundo, intimorito tutti quei Paesi arabi che, in qualche modo, intrattengono rapporti cordiali con l’Occidente.
Con questo incontro, si rinnova l’alleanza strategica tra Siria, Iran, Hezbollah e Hamas nata, sin dalla fine degli anni ’80, per mere ragioni di convenienza reciproca. Per Teheran, questi rapporti speciali, si rivelano molto utili per aumentare la “profondità strategica” (toccando, tramite Hezbollah, addirittura il Mediterraneo) e per spaventare i Paesi arabi sunniti. Per Hezbollah e Hamas, il sostegno della Siria e dell’Iran, significa soprattutto la garanzia costante di soldi e di armi. Due fattori da cui dipende la sopravvivenza stessa di queste organizzazioni.
Capire la politica di Damasco è invece più complesso. In questo ultimo anno, infatti, stiamo assistendo ad una diplomazia bifronte da parte di Bashir al-Assad: da una parte, come suddetto, continua questa special relationship con l’Iran che, tra alti e bassi, si conferma comunque solida. Dall’altra, vediamo i diversi tentativi dell’Occidente di coinvolgere diplomaticamente la Siria. Questi approcci, solo per ricordare i fatti più recenti, si sono concretizzati nell’invito di Sarkozy a Bashir al Assad in occasione della nascita dell’Unione per il Mediterraneo, nella ripresa dei negoziati con Israele per il Golan (tramite la mediazione turca) e, proprio in questi giorni, nella storica scelta di Barack Obama di nominare un Ambasciatore americano a Damasco (si parla di Robert Ford).
Come spiegare questa ambivalenza? La strategia non è difficile da descrivere: il regime di Bashir al Assad vive in costante stato di fragilità, soprattutto sotto il profilo sociale. Gli Alawiti, l’etnia al potere a Damasco rappresentano, infatti, una minoranza della popolazione. Il Governo si appoggia quindi fortemente sull’esercito comandato, a sua volta, prevalentemente da uomini appartenenti alla “vecchia guardia” (quella che faceva capo a Hafez al-Assad). Militari cresciuti professionalmente durante il periodo della Guerra Fredda, con il mito dell’Unione Sovietica e con l’unico scopo di sconfiggere Israele. Culturalmente, infine, non va dimenticato che la “patente di islamicità”, è stata “concessa” agli Alawiti solamente durante gli anni ’70 da Musa Sadr, leader spirituale sciita – molto potente in Libano e scomparso misteriosamente in Libia nel 1978 - e confermata successivamente dall’Ayatollah Khomeini.
Come si vede quindi, si tratta di un intreccio che mischia interessi materiali molto, con legami storici profondi, difficilmente superabili in poco tempo. Damasco, inoltre, è ben cosciente dell’importanza che riveste la sua posizione oggi: se, infatti, la Siria decidesse di rompere con l’Iran, Teheran si troverebbe automaticamente regionalmente isolato. Certa di non rischiare un attacco militare, la Siria sta scegliendo quindi di massimizzare il suo profitto. Intessere rapporti con l’Occidente, senza però dover rinunciare alla politica estera precedente. L’effetto, per ora, è quello di favorire una costante gara a “chi offre di più” fra i due blocchi. Per Damasco, il petrolio iraniano conta, infatti, quanto gli accordi commerciali con l’Occidente e una nuova legittimità politica.
Ovviamente questo “gioco”, attualmente molto proficuo, impone dei rischi. Prima o poi, infatti, Damasco dovrà accettare la necessità di un accordo con Israele per riuscire a stabilizzare definitivamente il suo regime politico. In caso contrario, l’alternativa per Bashir al Assad, sarà quella di sempre: lasciare il controllo dello Stato ai vertici militari e di rischiare, così , di vedere svuotato sempre di più il suo potere.

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