
Zapata, ex operaio, è deceduto in condizioni di estrema sofferenza. Rinchiuso da tempo nel carcere di Camaguey, egli aveva indetto lo sciopero della fame per protestare con gli abusi di cui era periodicamente vittima. In particolare, a detta delle organizzazioni umanitarie, Zapata sarebbe stato più volte picchiato perché rifiutava di mettere l’uniforme da detenuto.
Lo sciopero della fame di Orlando Zapata è durato ben 85 giorni. Alla fine, ormai completamente deperito e stremato, il leader democratico cubano non ce l’ha fatta e, come suddetto, è deceduto in ospedale lontano dalla sua famiglia. Reina Tamayo Dange, madre di Orlando Zapata, ha senza mezzi termini descritto la morte del figlio come un “omicidio premeditato”.
Nel silenzio di parte della Comunità Internazionale, la situazione della libertà di espressione e del pacifico dissenso è ancora estremamente grave a Cuba. Secondo diversi rapporti, all’Avana è molto facile subire una durissima condanna al carcere per una qualsiasi forma di critica al regime. Infatti, l’articolo 91 del codice penale cubano e la Legge 88, prevedono pene di oltre venti anni (e, nei casi estremi, la fucilazione) per chiunque “lavori nell’interesse di una nazione straniera al fine di danneggiare l’indipendenza dello Stato cubano e la sua integrità territoriale” e per coloro che vengono ritenuti colpevoli di “sostenere le politiche statunitensi a Cuba”. Grazie ad una lettura radicale ed estensiva di queste norme, quindi, il regime riesce facilmente a sbarazzarsi di ogni forma di critica o parvenza di democratica opposizione.
Ad oggi sarebbero quasi un centinaio i prigionieri politici rinchiusi nelle carceri cubane, tutti condannati a pene detentive molto lunghe. Tra i prigionieri politici c’è Juan Carlos Herrera Acosta, giornalista indipendente dell’agenzia di stampa cubana APLO (Agencia de Prensa Libre Oriental), condannato a 20 anni di reclusione nel 2004.
In un rapporto di qualche tempo fa, Amnesty International, sottolineò le condizioni pietose in cui si trovavano i prigionieri che, per una qualsiasi ragione, venivano trasferiti in celle di punizione per periodi di due-quattro mesi. Queste celle, piccole due metri per uno, venivano descritte infatti “prive di suppellettili esposte costantemente alla luce naturale”. Insomma, una condizione davvero priva di ogni parvenza di umanità.
Per capire la drammaticità della condizione dei dissidenti e, particolarmente, dei carcerati a Cuba, è bene ricordare l’esperienza di Armando Valladeres, poeta ed ex diplomatico americano che, prima di divenire un esule, ha trascorso ben 22 anni della sua vita nelle prigioni cubane. Valladeres ha raccontato di essere stato condannato semplicemente per essersi rifiutato di conservare sulla sua scrivania di lavoro una cartolina che recitava uno slogan castrista. Accusato di tradimento, negli anni trascorsi nel carcere dell’isola di Pinos, egli è stato soggetto ai lavori forzati, ad un regime alimentare di privazioni e a numerose pene disumane.
Si parla oggi, molto spesso, della nuova politica di Cuba sotto Raul Castro, fratello e successore del più famoso Fidel, ormai troppo anziano per governare il Paese. Si discute quindi del possibile – e auspicabile – riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba e della fine del regime di sanzioni che gli americani hanno imposto sull’isola centroamericana. Ovviamente, nell’ottica di una stabilizzazione della regione, ogni passo avanti nel dialogo diplomatico è un fattore positivo.
Il dialogo però deve partire necessariamente da un vero cambiamento all’interno del regime politico di Cuba. L’apertura alle opposizioni e la liberazione incondizionata dei detenuti condannati per reati politici, devono necessariamente rappresentare i punti cardine su cui fondare ogni forma di relazione futura. Ogni compromesso con queste condizioni, significherà la fine drammatica e solitaria di altri coraggiosi come Orlando Zapata.
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