
Davanti a questa vera e propria emergenza che, nel medio termine, potrebbe addirittura mettere a rischio l’intera zona euro, l’UE, sembra ancora una volta esitare. Dopo un summit informale a Bruxelles, a cui hanno preso parte anche la Cancelliera Angela Merkel e il Presidente francese Nicholas Sarkozy, il Presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy, ha sostenuto che un intervento per salvare la Grecia “non e' necessario oggi”, ma che “i membri della zona euro interverranno in maniera determinata e coordinata se necessario per la salvaguardia della stabilita' finanziaria nella zona euro”. Infine Van Rompuy ha concluso precisando che, la stessa Atene, non ha richiesto sinora nessun supporto finanziario.
Insomma, il vertice di Bruxelles si è limitato a incoraggiare i Paesi in difficoltà economica, senza però delineare una strada per uscire dalla crisi. Martedì 16 febbraio infine, ci sarà il vertice dell’Ecofin – l’assise che riunisce i ministri dell’economia e della finanzia della zona Euro – che però si limiterà, probabilmente, a dare il via libera formale alle raccomandazioni fatte dalla Commissione Europea alla Grecia, che descrivono la tabella temporale del programma di riduzione del deficit pubblico e i controlli a cui Atene verrà periodicamente sottoposta.
E’ questa la strada giusta per salvare l’unione monetaria europea? A quanto pare No. La più grande conquista del Vecchio continente, l’euro, non potrà certamente considerarsi al sicuro sino a quando i Paesi dell’UE non decideranno di mettere da parte i “campanilismi” e accettare, se necessario, anche un aiuto dall’esterno.
Come ha messo perfettamente in luce Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera (“L’illusione di fare da soli”, Corriere della Sera, 12/02/2010), un piano credibile per arrestare la speculazione contro i titoli pubblici della Grecia – e non solo della Grecia – richiederebbe essenzialmente due elementi: un programma fiscale credibile (e non pare possibile che Atene possa portare il suo deficit dal 13% al 3% entro il 2012, come chiede l’UE) e, soprattutto, una liquidità che sia in grado di evitare una crisi del debito. In questo senso, l’Unione Europea sembra incapace di agire concretamente.
C’è infatti chi politicamente vuole evitare di impegnarsi nel salvataggio della Grecia e, allo stesso tempo, non permette all’UE di aprirsi all’aiuto del Fondo Monetario Internazionale (FMI), unico organo soprannazionale che, dall’alto della sua esperienza, potrebbe mettere a disposizione liquidità, accompagnandola però a impegni fiscali e di monitoraggio opportuni. L’FMI, proprio per la sua storia, potrebbe davvero riuscire a stabilizzare la situazione, salvando così le insidie che minacciano la zona Euro. La Bce, al contrario, sebbene in grado di offrire liquidità, difficilmente avrebbe la capacità imporre una politica fiscale adeguata.
Insomma, per evitare di chiedere aiuto, l’Unione Europea sta seriamente minacciando sé stessa. Se, infatti, nel medio periodo, il piano tedesco e francese fallissero (e i consumatori tedeschi non paiono così disposti a sacrificarsi per i loro “fratelli” greci), in gioco non ci sarebbe solamente il sistema economico di alcuni Paesi europei. Stavolta a rischiare il fallimento sarebbe l’unione monetaria per intero e con essa, automaticamente, tutte le istituzioni dell’ Unione Europea.
L’illusione di “fare da soli” (sempre richiamando l’articolo di Giavazzi) rischia, quindi, di far crollare un intero progetto politico che, per quanto carente a livello federativo, ha permesso al continente europeo di vivere uno storico periodo di pace. In nome dell’euro, la Germania del post Seconda Guerra Mondiale, figlia dell’incubo della crisi economica di Weimar, ha accettato storicamente di rinunciare alla sua moneta nazionale, il marco, simbolo in quel momento di stabilità economica. Permettere che tutto questo entri in crisi, perciò, significa accettare l’idea che, nel lungo periodo, il nazionalismo più deleterio ritorni preda degli Stati europei.
Se così fosse, l’Europa che lasceremmo alle generazioni future, sarà un continente che tornerà a fare i conti con gli odi reciproci, le rivalità regionali e, perché no, con il “mestiere delle armi”.
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