giovedì 11 febbraio 2010

IRAN: QUANDO UN REGIME SI "AUTOPERPETUA"...

di Daniel Arbib Tiberi


Un sistema politico che non riflette su sé stesso, è praticamente un sistema politico morto. Una serie di organi istituzionali che, facendo spesso forza su uno o più eventi centrali del suo passato, hanno ormai perso la capacità di agire, la consapevolezza della responsabilità pubblica e la forza di circondarsi da un vero consenso. Insomma, un sistema del genere, è solo un qualcosa che si "autoperpetua" nella egoistica speranza di garantirsi – ovvero garantire a chi lo guida - la conservazione materiale del potere...



Questo è quanto sta accadendo ormai da mesi in Iran. La Rivoluzione khomeinista e la Guerra contro l’Iraq, rappresentano i miti fondanti di questo importante Paese asiatico. Eventi che, soprattutto per chi li ha vissuti in prima persona, rimangono fortemente impressi nella memoria. In nome di quel passato però, oggi in Iran si stanno schiacciando le nuove generazioni, ragazzi e ragazze che non chiedono rivoluzioni, ma solo maggiori libertà.
Quando lo Scià Mohammed Reza Phalevi venne cacciato nel 1979, la popolazione che appoggiò la futura Guida Suprema Khomeini era, anche in quel caso, composta da giovani stanchi dei soprusi della polizia segreta (la famosa e temuta Savac). Il Paese, infatti, proprio in nome della permanenza al potere di una monarchia ormai priva di qualunque forma di reale consenso, era diventato un vero e proprio covo di delazione dove, in ogni momento, era possibile essere arrestati, incarcerati e torturati. Ovviamente, il potere dell’esercito era al massimo, ma tra la gente la disoccupazione e il malcontento crescevano costantemente.
L’Iran di oggi è certamente, almeno a livello formale, molto diverso da quello dei Phalevi. E’, infatti, una Repubblica Islamica e si caratterizza appunto per agire in nome della fede mussulmana di orientamento sciita. Allo stesso tempo però, non mancano le analogie con la monarchia persiana cacciata nel 1979 e ben poco sembra essere rimasto dei principi teologici che caratterizzarono l’avvento al potere dell’Ayatollah Khomeini. Oggi l’Iran è uno Stato in mano, sia politicamente che economicamente, ai Pasdaran, un corpo di fedelissimi al regime che ha praticamente soppiantato l’esercito ufficiale. Sotto il controllo dei Pasdaran, è anche la pericolosissima milizia dei Basiji è, soprattutto, l’intero programma nucleare iraniano, un progetto che sta praticamente isolando il Paese dal resto del mondo.
Le proteste organizzate ieri a Teheran contro le Ambasciate d’Italia, di Francia e d’Olanda, non sono altro che la dimostrazione della autoperpetuazione del regime al potere. L’obiettivo è quello di continuare fino all’estremo lo scontro con l’Occidente per creare il mito di un nemico esterno, di un satana pronto ad attaccare in ogni momento.
Si tratta, però, di una strategia che la storia conosce bene. E’ la stessa che caratterizzò il regime fascista, quello nazista e l’esperienza stessa dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti. Nessuno nega che, questi falsi miti, garantirono a quei regimi (purtroppo…) la sopravvivenza per diversi tragici anni. La storia però, alla fine, è stata capace di chiedere sempre i suoi conti e, di quelle esperienze nefaste, fortunatamente, oggi è rimasto solo il drammatico ricordo.
All’Iran e ai suoi dirigenti quindi spetta la scelta: cambiare per continuare a vivere, o continuare a reprimere per sperare di sopravvivere? Per ora, tutto sempre indicare che Khamenei, Ahmadinejad e chi per loro, abbiano optato per la seconda strada…

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