
Quella di Israele nell’Unione Europea è una vecchia storia che, ancora oggi, rappresenta una delle battaglie più importante portate avanti da una parte della politica italiana (Partito Radicale in testa).
Al di là delle dichiarazioni pubbliche però, quello che è importante verificare però, è la reale fattibilità di un progetto del genere. In poche parole, è davvero credibile l’ipotesi di un ingresso di Israele nell’Unione Europea? Nel breve periodo, per diversi motivi, sembra proprio di no.
Vediamo brevemente che cosa pare ostacolare oggi una ipotesi simile.
La prima questione aperta è di tipo storico. Notoriamente, almeno successivamente al 1967, il continente europeo si è sempre caratterizzato per una maggiore vicinanza alla questione palestinese e per una forte interconnessione con la sua leadership. Questa politica, che non deve essere confusa con una manifesta ostilità verso Israele, è sempre servita agli Stati europei per mantenere un ruolo di alto profilo in Medioriente bilanciando, in tal modo, anche la politica americana, considerata più vicina alle istanze israeliane. Sebbene dalla fine della Guerra Fredda e dopo alcuni fatti recenti (tra cui la presa di potere di Hamas a Gaza), diversi presupposti di tale teorema siano mutati, il principio generale rimane, incidendo sulle relazioni dell’UE con Israele.
Il secondo aspetto è legato al Trattato di Lisbona recentemente entrato in vigore. Nel Trattato - che descrive un ”Alto Rappresentate per la Politica Estera e di Sicurezza Comune” (Mister/Miss PESC) nominato per due anni e vice-Presidente della Commissione Europea – è prevista anche l’introduzione di due clausole di estrema rilevanza: 1- la clausola di mutua assistenza (contro i disastri naturali); 2- la clausola di mutua solidarietà. E’ proprio quest’ultima ad allontanare la prospettiva di un ingresso relativamente rapido di Israele nella UE. La “mutua solidarietà” infatti, prevede il dovere di intervento di un qualsiasi Stato membro della UE a difesa di un altro membro che subisce una “aggressione armata”. Per precisione l’articolo del Trattato recita testualmente: “qualora uno Stato membro subisca un'aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. La domanda quindi sorge spontanea: quale Paese dell’UE sarebbe disposto ad inviare i suoi militari a difesa di Israele, nel caso in cui questo subisca una “aggressione armata”? Davanti ad un ipotetico attacco militare iraniano contro Israele, forse, si potrebbe anche concretizzare l’idea di un’azione comune di difesa degli Stati dell’UE verso lo Stato ebraico, ma chi sarebbe disposto ad attaccare la Striscia di Gaza nel caso in cui Israele richiedesse l’applicazione della clausola dopo un attentato kamikaze sul suo territorio? In questo senso, il caso di Israele nell’UE, è assimilabile a quello dell’ipotesi di ingresso di Georgia e Ucraina nella Nato. Un obiettivo altrettanto interessante, ma per ora irrealizzabile proprio per la clausola di solidarietà militare vigente tra i membri dell’Alleanza Atlantica (chi sparerebbe contro Mosca per difendere Tbilisi e Kiev?).
Infine un ultimo aspetto, questa volta incentrato sull’ottica israeliana. L’Unione Europea non è l’Italia, ovvero la posizione del Presidente Silvio Berlusconi non rappresenta quella di tutti gli Stati membri. Molte volte, come suddetto, proprio l’UE si è caratterizzata per le sue posizioni di condanna verso alcune azioni intraprese da Israele (si veda la guerra del Libano del 2006). Perciò, cosa dovrebbe spingere Israele a legare la sua politica estera con quella dell’Unione Europea? Cosa dovrebbe portare lo Stato ebraico a rischiare di dover limitare la sua libertà di agire, politicamente e militarmente, per dipendere dagli umori del Vecchio continente?.
Come dimostrato quindi, quella di Israele nell’UE è, almeno per ora, solo una affasciante ipotesi. Da dove si potrebbe cominciare? Il rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi e una politica a senso unico dell’Unione Europea verso l’Iran, sarebbe già un importante passo avanti.
Nessun commento:
Posta un commento