
Questo tipo di ragionamento però, a livello geopolitico, può essere "smontato" da una semplice considerazione: la relazione tra Israele e Iran, infatti, non è specularmente bilaterale: se, infatti, l'Iran può rappresentare una minaccia strategica per Israele, quest'ultimo difficilmente potrebbe rappresentare un vero rischio geopolitico per l'Iran.
Per capire meglio il significato di questa affermazione, è necessario analizzare le peculiarità proprie della geopolitica israeliana. Per far ciò, è necessario riportare alla mente il lavoro di George Friedman, intitolato “The geopolitics of Israel” (Stratfor, maggio 2008).
Friedman, nella sua analisi, divide la storia di Israele - antico e moderno - in tre modelli di dominio:
• Modello di David: in questo modello esiste un Israele forte e indipendente;
• Modello Babilonese: in questo modello, Israele è assoggettato e sconfitto;
• Modello Persiano: in questo modello Israele vive come Paese indipendente, inserito, però in un più vasto quadro imperiale. In questa situazione talvolta Israele è assoggettato (come durante l’Impero Romano) e talvolta è indipendente, conformandosi solamente alle linee di politica estera del suo alleato imperiale (la special relationship con gli Stati Uniti dopo il 1967 ne è un esempio lampante).
La storia d'Israele, infatti, dimostra che, quando questo ha vissuto rischi reali di dissoluzione (modello Babilonese), questa minaccia è sempre stata determinata non dai suoi vicini più prossimi, ma da Imperi che miravano al controllo del Mediterraneo (Babilonesi, Greci, Romani). I vicini più prossimi, infatti, se presi autonomamente, rappresentano minacce superabili per Israele. L'Egitto nutre poca ambizione verso il Sinai e guarda principalmente a Ponente; la Siria vuole lo sbocco al Mediterraneo (e per questo usa il Libano), ma senza l'Egitto è troppo debole; infine la Giordania teme Israele per la sua naturale propensione ad espandersi ad Levante.
Ora il caso iraniano: Teheran vuole divenire una potenza regionale riconosciuta. Per questo mira ad un nucleare che la rassicuri, al controllo del Golfo Persico e ad una proiezione verso il Mediterraneo. Quest'ultima ambizione, l’Iran sta cercando di ottenerla attraverso il controllo indiretto dei vicini di Israele: la partnership strategica con la Siria, il controllo parziale del movimento libanese Hezbollah e quello di Hamas nella Striscia di Gaza ne sono la dimostrazione. Questi attori, nel tempo, sono divenuti gli alleati principali dell’Iran, da cui subiscono una fortissima influenza. Attraverso di loro, Teheran ottiene quella che comunemente è nota come la "profondità strategica".
Come si vede quindi, la minaccia che l’Iran pone ad Israele, non è speculare rispetto a quella che Israele determina sull'Iran. Asserire una cosa simile, significa uscire da un modello realista di analisi oggettiva ed entrare in un pericoloso relativismo storico.
A ciò si aggiunga inoltre, come noto, che le azioni iraniane mettono in serio pericolo l'attuale equilibrio delle forze in Medio Oriente: contribuendo ad alterare la stabilità regionale infatti, Teheran mette a rischio l'intero modello geopolitico dell’area {definibile come “modello Persiano”, con gli Stati Uniti come vera forza esterna equilibratrice), aprendo così una competizione che non potrà che causare scontri. I programmi nucleari (anche se sinora solo civili) dei Paesi arabi sunniti, ne sono il naturale esempio.
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