
Le reazioni della diplomazia, come detto, non si sono fatte attendere. Il Presidente americano Obama, il Ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner e il suo omologo italiano Franco Frattini, hanno giudicato come “molto pericoloso” l’atteggiamento iraniano, mentre l’Altro Rappresentante per la Politica Estera Europea Javier Solana ha descritto le scelte iraniane come “decisioni sbagliate”. E’ infine molto interessante che dure condanne sono arrivate anche dalla Cina e dalla Russia, anche se questi due Paesi sperano ancora in una risoluzione pacifica della crisi iraniana.
Una domanda sorge quindi spontanea: cosa guida l’agire dei dirigenti iraniani? Cosa spinge i leaders di Teheran a tirare una corda, estremamente sottile, così forte? Una risposta, forse, è possibile ottenerla guardando agli obiettivi interni e regionali dell’Iran e comparando il comportamento diplomatico iraniano con quello messo in atto tra il 2002 e il 2003 dal gruppo dirigente nord coreano.
Per quanto concerne gli obiettivi di Teheran questi sono ormai noti ai più: 1- consolidamento interno del regime, soprattutto dopo le crisi post-elettorali; 2- un ruolo di potenza regionale; 3- una maggiore garanzia energetica.
Il programma nucleare, come è facile intuire, risponde a tutte e tre le esigenze iraniane: permette a Teheran di mantenere una forte stretta sulla popolazione, renderebbe l’Iran una potenza atomica (al pari della “non dichiarata” Israele, India e Pakistan) e permetterebbe a Teheran di diversificare il suo mix energetico dipendendo meno dal petrolio. L’Iran, va ricordato, sebbene sia il secondo esportatore di greggio nel mondo, non ha molte raffinerie e dipende per questo dall’estero (India). Un aspetto questo che rende il Paese non solo fragile, ma anche esposto a possibili rischi di pesanti sanzioni internazionali (le sanzioni potrebbero colpire le petroliere che riportano l’”oro nero” raffinato in Iran).
Il secondo aspetto è quello legato, come detto, al comportamento della Corea del Nord in passato. Anche Pyongyang, nel dicembre del 2002, scelse di cacciare gli ispettori dell’AIEA, aprendo una pesante crisi diplomatica. La scelta nordcoreana, tra l’altro, fu seguita l’anno seguente dalla decisione di riattivare diversi impianti nucleari e dal fallimento del “Six Party Talks” – il dialogo a sei per la risoluzione della crisi nordcoreana che vede la partecipazione di Corea del Nord, Corea del Sud, Cina, Russia, Stati Uniti e Giappone – di agosto a Pechino. Le trattative diplomatiche tra la Comunità Internazionale e la Corea del Nord sono ancora in fase di stallo. Uno dei motivi dell’empasse è derivato dal fatto che i dirigenti nordcoreani accettano malvolentieri il dialogo a Sei e vorrebbero un accordo diretto con gli Stati Uniti, un patto bilaterale che riconoscerebbe il ruolo di potenza a cui aspira la Corea del Nord. In maniera non troppo dissimile, Teheran potrebbe oggi voler volutamente intensificare la crisi sul suo programma nucleare, per costringere gli Stati Uniti ad un accordo bilaterale che, implicitamente, metterebbe a dura prova la special relationship tra Israele e Usa e darebbe all’Iran un riconoscimento davvero importante per le sue ambizioni regionali.
Il Presidente americano Barak Obama ha sinora rifiutato le richieste di Pyongyang (ribadendo l’importanza del Six Party Talks) e ha minacciato Teheran di nuove sanzioni entro la fine di dicembre. Obama pare quindi aver scelto, almeno sinora, un profilo diplomatico multilaterale.
Una importante variante divide però la questione nordcoreana con quella iraniana. Quella variante si chiama Israele. Tel Aviv sembra sempre più inquieta e sono state diverse le esercitazioni svolte con simulazioni di attacchi aerei (e non) a impianti nucleari iraniani. Il quotidiano progressista Haaretz ha recentemente pubblicato un articolo in cui prepara il Paese alla possibilità che piloti israeliani possano essere abbattuti durante l’attacco e fatti prigionieri. Tutto questo può essere solamente un grande bluff, ma sarebbe saggio non sottovalutarlo.
Nessun commento:
Posta un commento