
mercoledì 2 dicembre 2009
E C'E' GIA' CHI PENSA A "COPENAGHEN 2"....
di Fabio Perugia
L'umore che si respira all'Unione europea è pessimo. E i tecnici dell'ambiente a Bruxelles già prenotano un secondo incontro mondiale per definire, una volta per tutte, gli impegni delle nazioni per combattere il global warming. L'appuntamento decisivo sarà in Messico tra un anno. Quando i Paesi dell'Onu potranno firmare un accordo vincolante. Per quest'anno la conferenza mondiale sul clima dovrà accontentarsi di una sterile intesa politica. Il risultato che uscirà dagli incontri di Copenaghen sarà infatti un documento di sei o sette pagine, che rimanderà la definizione dei target di riduzione delle emissioni di Co2 al 2010. Non è un caso se dall'Italia il ministro Stefania Prestigiacomo lancia i primi segnali: «Probabilmente fra due settimane a Copenaghen non sarà firmato un accordo legalmente vincolante. Sarà invece possibile raggiungere un'intesa politica forte che rimandi a un trattato vincolante a breve. E questo non sarà certo un fallimento ma il primo dei due tempi di un accordo storico sul clima condiviso da tutti i paesi del mondo». Ma anche sull'accordo politico le perplessità sono più di una. Nelle poche pagine del documento finale si parlerà di riduzione del 50 per cento delle emissioni entro il 2050: un target troppo comodo, un impegno troppo a lungo termine che, confermano dal Ministero dell'Ambiente, non risolve nulla. Di questa percentuale, inoltre, l'85 per cento dei tagli sarà a carico dei Paesi in via di sviluppo, ma nessuno preciserà le ripartizioni delle quote di riduzione tra le nazioni. Di fatto, quindi, sarà un impegno di massima, un documento molto simile a quello partorito al G8 dell'Aquila. Se Copenaghen diventerà ufficialmente un appuntamento di transizione nella lotta ai cambiamenti climatici, lo si dovrà principalmente a Stati Uniti, Cina e India, i maggiori Paesi inquinanti che non sono disposti a pagare il prezzo dei tagli di Co2. New Dheli ancora ieri torna a porre le sue condizioni, con l'appoggio di Pechino: nessun vincolo sulla riduzione delle emissioni, nessun controllo e verifica delle azioni dei Paesi in via di sviluppo che non sono supportati da finanziamenti e tecnologie dei Paesi industrializzati e la dichiarazione politica finale deve richiedere ai Paesi industrializzati di non imporre barriere economiche, nel nome dei cambi climatici contro beni esportati da Paesi in via di sviluppo. Diverso il discorso per l'America. Barack Obama ha un problema tutto interno. Gli States non possono firmare accordi legalmente vincolanti senza il parere positivo del Congresso. Parere che oggi è negativo: al Senato si è deciso di non votare l'emendamento Kerry, che avrebbe dato il via libera a un mandato ufficiale. Inoltre la qualità della proposta americana è scarsa, spiegano a Bruxelles, e lascerebbe insoddisfatte le altre nazioni. Tanto che l'Europa non potrà aumentare i target del pacchetto clima-energia, il pacchetto 20-20-20, al 30 per cento come aveva auspicato. Il risultato sarà un 2010 di negoziati incandescenti tra tagli di Co2, investimenti e battaglie per le quote di emissioni. In attesa che in Messico il mondo firmi un accordo definitivo, stavolta vincolante per tutti, lanciando un salvagente al Pianeta.

Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Caro Fabio,
RispondiEliminail pezzo è davvero di assoluto livello.
Solo una questione volevo discutere con te. E' vero che l'UE è avanti e si sta impegnando come nessuno per il clima grazie al programma 20-20-20. Ed è anche vero che, al 2020, l'impegno americano è scarno (solo il 4% di riduzione delle Co2 rispetto al 1990). E' però vero che gli Stati Uniti si sono impegnati ad una riduzione massiccia delle Co2 al 2030 e lo hanno fatto promettendo investimenti in nuove tecnologie. Non ti pare quindi che l'UE, paradossalmente, fermandosi al 20-20-20, ovvero non aprendosi a nuove tecnologie, rischia di rimanere indietro?
Grazie ancora per il tuo pezzo.
Un abbraccio
D.
Caro Daniel, grazie per lo spazio che mi dedichi. Arrivo al tuo punto. A quanto mi risulta gli Stati Uniti stanno cercando di approvare, ma non l'hanno ancora fatto (manca il sì di una Camera), una legge di riduzione del 17% dei gas a effetto serra da ora al 2020, con l'opzione, da rinegoziare più avanti, di alzare il tiro: toccare il 30% in termini di riduzioni nel 2025, per arrivare al 42% nel 2030. Attenzione: non è detto che mi sia sfuggito qualche passaggio, se sbaglio ti prego di segnalarmelo.
RispondiEliminaComunque per me, anche se l'amministrazione Obama sta facendo passi da gigante, credo che la strada americana sia ancora lunga.
Inoltre, se tra un anno a Città del Messimo (le mie anticipazioni sono confermate oggi da Corrado Clini, direttore del ministero dell'Ambiente) si trova un accordo globale e vincolante sul clima, l'Ue potrà aumentare il taglio delle emissioni, dal 20 al 30 per cento.
Compratevi una mascherina. Un abbraccio, Fabio.
Caro Fabio,
RispondiEliminagrazie a te per dare ad Analisi Esteri la possibilità di pubblicare i tuoi pezzi.
In merito alla questione il punto è questo: per quanto ne so io il 17% di cui gli USA parlano è comparato rispetto ai parametri del 2005 e non del 1990. Mentre il 20% di cui l'UE parla è rispetto al 1990. Indi per cui gli americani avrebbero ridotto del solo 4% il livello di CO2 rispetto al 1990.
Il discorso che facevo io, e che ha fatto peraltro lo stesso Clini ieri in una conferenza al Senato, è che dobbiamo chiederci se l'UE non si sta fossilizzando sul Programma 20-20-20 a discapito della crescita tecnologica. Mi spiego meglio: gli USA si danno un obiettivo modesto al 2020, per darsene poi uno più ambizioso al 2030 da raggiungere con nuove tecnologie. Viceversa, noi europei, ci stiamo dando un obiettivo difficile al 2020, senza considerare che magari tra 10 anni avremo nuove tecnologie che cambieranno la questione. Non è un caso che il 20-20-20 sta diventando 30%. Non vorrei che la questione della "comparabilità" fosse il nodo del fallimento a Copenaghen.
Grazie ancora
Daniel
premesso che mi sembra assurdo voler limitare l'emissione di un gas che ogni essere vivente del pianeta produce respirando, un dato che non ho mai trovato dettagliato è il "contributo" percentuale dei principali stati ad alta industrializzazione (comprese cina e india) sulle emissioni totali mondiali. Giusto per rendersi conto quanto ognuno influisca effettivamente sulla co2 totale.
RispondiEliminaInoltre bisogna considerare anche le relazioni col PIL mondiale (esempio: gli usa emettono il 20% di CO2 totali, però fanno anche il 26% del pil mondiale)
In tutto questo discorso di global warming, poi, ci si dimentica della pistola fumante uscita fuori nelle ultime 2 settimane con la pubblicazione delle email del CRU UEA
Trovo le considerazioni di Rohi interessanti e vorrei aggiungere un paio di mie opinioni:
RispondiEliminaa- Kyoto, questo è verissimo, non ha per nulla considerato quelli che una volta erano detti PVS (Paesi in Via di Sviluppo. Paesi che, dieci anni dopo, rappresentano le economie più veloci e i maggiori inquinatori mondiali(Cina e India). Da questo aspetto a Copenaghen non si scampa e, non a caso, oggi invece che di G20 si parla di G2.ù (Cina e Usa);
2- il discorso del PIL è particolare. E' l'indicatore principale della crescita che ci siamo dati, ma non può essere l'unico. Se cresci al 10% annuo ma vivi in un contesto inquinato forse il PIL non basta più a capire il benessere. Credo che il concetto di benessere oggi passi anche attraverso altri parametri di giudizio, magari meno materiali e più aleatori,però anche più legati alla quotidianità.
Per il CRU UEA non so molto. Rohi, se puoi, scrivici qualcosa di più su questo.
Un abbraccio
Daniel
sono state rese pubbliche da uno sconosciuto oltre 1000 email, datate tra il 98 e l'altroieri, prese dai server del climate research unit dell'università dell'east anglia, uno dei principali centri di ricerca sul clima, fonte principale anche dei vari rapporti onu sul global warming. Da queste email (scambiate tra i ricercatori interni, e con i ricercatori di altri cetri di ricerca) si legge di come si mettono d'accordo per eliminare e modificare dati e medie scomodi, cioè che NON supportano la tesi del riscaldamento globale a opera dell'uomo.
RispondiEliminaPuoi trovare analisi e informazioni dettagliate su climatemonitor.it, o cercando climagate su google
molto interessante, penso sia una cosa da approfondire certamente.
RispondiEliminaGrazie mille,
daniel