
A rimettere al centro delle cronache Sana’a, è stata la notizia del possibile addestramento nello Yemen del nigeriano Umar Farouk Adbulmutallab, aspirante kamikaze sul volo della Northwest-Delta, bloccato dalla pronta reazione dei passeggeri.
L’instabilità yemenita però, è tutt’altro che una novità. Paese in guerra civile tra il 1962 e il 1970 - un conflitto che ha visto contrapporsi direttamente Egitto e Arabia Saudita - lo Yemen ha ritrovato una sorta di minima governabilità solamente dopo l’elezione a Presidente di Abdullah Saleh, ex militare, rimasto al potere anche dopo l’unificazione tra la parte Sud e la parte Nord del Paese, avvenuta nel 1990.
Come detto, l’unificazione non è stata sinonimo di pacificazione interna e, attualmente, Sana’a affronta uno stato di vera e propria spaccatura interna. Nella parte Nord infatti, sono i ribelli Huthi a creare problemi al Governo centrale. Gli Huthi sono una popolazione sciita - precisamente si tratta di seguaci del ramo Zaidita dello sciismo - che, considerandosi eredi della secolare monarchia Mutawakkilite (che ha tenuto le sorti del Paese sino al 1962), si sono ribellati al Presidente Saleh, reclamando l’indipendenza. Gli analisti sospettano che gli Huthi siano finanziati direttamente da Teheran e, considerando la dichiarata alleanza tra i militari yemeniti e quelli sauditi, pare che anche Riyad condivida questa stessa preoccupazione.
La parte Sud dello Yemen invece, sembra essere divenuta preda dei militanti di Al Qaeda. Negli anni passati, il Presidente Saleh ha usato i militanti di al-Qaeda per sconfiggere i guerriglieri indipendentisti del “Southern Mobility Movement” (SMM). Il rapporto con l’organizzazione di Bin Laden però, si è incrinato prima nel 2000 (con l’attentato alla portaerei Uss Cole) poi, successivamente, dopo i terribili attacchi dell’11 settembre 2001, attentati che hanno costretto lo Yemen a scegliere l’alleanza – mai ufficiale però – con gli Stati Uniti. Dal 2006 infine, con la fuga di diversi terroristi dal supercarcere di Sana’a, lo Yemen è diventato la nuova base del movimento di “al-Qaeda nella Penisola Arabica”, il cui scopo dichiarato è quello di uccidere i crociati nella terra dell’Higiaz.
L’estate scorsa il Generale Petraeus, attuale U.S. Central Command, insieme a John Brennan, consigliere antiterrorismo di Obama, si è recato a Sana’a per concordare, per i prossimi 18 mesi, una fornitura all’esercito yemenita di armi pesanti, visori notturni e mezzi veloci del valore di oltre 70 milioni di dollari. Inoltre, pochi giorni fa (il 19 e il 24 dicembre) aerei dell’aviazione locale, guidati dalla CIA, si sono alzati in volo per colpire due raduni di militanti di al-Qaeda, lasciando sul terreno oltre 50 morti. Da parte sua, “La Base”, ha rivendicato l’attacco all’ambasciata americana di Sana’a dello scorso anno e, come suddetto, il tentativo di far saltare in aria, sui cieli di Detroit, il volo della Delta. Senza dimenticare che, la strage compiuta presso la base di Fort Hood dal Maggiore americano Nidal Malik Hasan, è stata ricollegata alle influenze religiose dell’Imam radicale Anwar al-Awlaki, nato nel New Mexico, ma emigrato nello Yemen nel 2004.
Nello Yemen quindi, sembrano concentrarsi tutti i nodi geopolitici che, in questo periodo, travagliano il sistema internazionale. La più grande questione della vittoria contro il terrorismo internazionale di al-Qaeda e la regionale disputa tra l’Iran sciita e il mondo delle monarchie tradizionaliste sunnite (Arabia Saudita in testa), passa quindi per questo desertico Stato del Golfo Persico.
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