
Poco si è detto però in merito al tema della sicurezza energetica di Gerusalemme, ricollegata all’area della Striscia di Gaza. In primis va subito chiarito che Israele ha un territorio povero di fonti primarie (il sito offshore di Tam Tethis è praticamente la sola fonte domestica di gas naturale).
Scopo del Ministero delle Infrastrutture israeliano è quello di aumentare l’approvvigionamento del Paese da gas naturale dal 20% al 40% entro il 2012, con l’obiettivo di sfruttare al meglio le risorse interne (si parla dei tre maxigiacimenti di gas offshore nell’area di Tamar, 90 km al largo di Haifa). In questo senso però, gli investimenti da fare sono ancora tanti.
Per ora quindi, Israele si caratterizza per essere uno Stato all’avanguardia per quanto concerne lo sviluppo dell’energia alternativa (ad esempio il solare), ma drammaticamente dipendente dall’importazione di petrolio e gas. Per quanto concerne il gas, la sua importazione passa prevalentemente attraverso la compagnia egiziana East Mediterranean Gas (EMG), tramite un gasdotto di circa 100 km tra el-‘Arish e Ashkelon. L’accordo israelo-egiziano sulle risorse energetiche risalente al maggio 2008, molto contestato al Parlamento de Il Cairo, pone una serie di problematiche rilevanti. L’Egitto infatti, sebbene abbia tutto l’interesse nel continuare a vendere le sue risorse ad Israele, mantiene una posizione molto vicina al mondo palestinese. Fattore questo, che mette costantemente in pericolo la sicurezza energetica di Israele.
Data la situazione di instabilità, ben si comprende l’importanza per Israele (e per l’Autorità Nazionale Palestinese - ANP), di continuare a mantenere un controllo sulle riserve di gas. Queste ricchezze, sono state definitivamente scoperte al largo del litorale di Gaza nel 2002. In base ad un accordo firmato nel novembre del 1999, l’ANP ha concesso i diritti di sfruttamento di tali riserve alla British Gas (BG Group) e alla Consolidated Contractors International Company (CCC), compagnia con sede ad Atene, di proprietà delle famiglie libanesi di Sabbagh e Koury. Secondo l’accordo, della durata di 25 anni, i diritti per i giacimenti in mare (offshore) spettano per il 60% alla BG, per il 30% alla CCC e per il restante 10% ad un Fondo per gli investimenti palestinesi.
La morte di Yasser Arafat e la rottura tra Hamas e Fatah, hanno posto all’ordine del giorno la questione della tutela delle risorse di Gaza. Nel 2007, il Governo Olmert ha approvato una proposta, negoziata con la BG, di compravendita del gas dall’ANP. In questo senso quindi, anche attraverso il tacito assenso del Governo di Abu Mazen e del Presidente egiziano Mubarak, l’operazione di Gaza ha avuto come obiettivo anche quello di tutelare queste importanti riserve energetiche entrate pericolosamente in possesso dei miliziani di Hamas.
L’instabilità della rotta egiziana e di quella di Gaza, sta comunque costringendo Israele a guardarsi intorno. Oltre al progetto di implementazione dello sfruttamento delle risorse presenti sul territorio nazionale, Gerusalemme sta pensando di creare dei corridoi infrastrutturali con la Turchia e con la Russia. Con Ankara si parla di un allungamento dell’oleodotto Baku-Tiblisi-Ceyhan (BTC) sino al porto israeliano di Askhelon. Questo progetto è però attualmente in fase di stallo, soprattutto in considerazione degli attuali rapporti tra Israele e la Turchia. Dalle relazioni con Ankara però, dipende anche il collegamento con Mosca. Sempre da Askhleon infatti, attraverso un allungamento della conduttura che connette il porto di Eilat sul Mar Rosso a quello di Askhelon sul Mar Mediterraneo (oltre 254 km), potrebbero infatti giungere anche le importanti riserve russe e dell’area del Caspio.
Al di là delle opposte fazioni quindi, nella regione mediorientale, gli interessi comuni paiono legare i contendenti più di quanto si dimostri pubblicamente. La scelta di una ottica realista quindi, appare l’unica possibile per l’implementazione del processo di pace.
Nessun commento:
Posta un commento