Di Fabio Perugia
Le parole di Barack Obama e Hu Jintao porteranno con difficoltà a risultati concreti alla conferenza Onu sul clima di Copenaghen, che si svolgerà a dicembre. Sono i tecnici che si occupano di ambiente a Bruxelles, all'Unione europea, a esserne convinti. Usa e Cina sono i Paesi maggiormente inquinanti. E dopo il «no» a intese sul taglio di Co2 di domenica scorsa che aveva scosso anche il segretario Onu Ban Ki-moon, il presidente americano torna sulle sue parole spiegando che non punterà «a un accordo parziale o una dichiarazione politica, ma a un accordo che copra tutti i problemi con i negoziati e che abbia effetto immediato».
Il presidente cinese, da parte sua, esprime la volontà che il vertice di Copenaghen non fallisca. Dichiarazioni che arrivano proprio nel giorno in cui nella capitale danese si svolge un pre-vertice di 44 ministri dell'Ambiente (presente anche Stefania Prestigiacomo), per cercare una prima intesa politica. Dalla riunione a porte chiuse, però, non sembrano uscire notizie positive, se non la soddisfazione per le parole di Obama. Ma per passare ai fatti serve altro. Anche se Obama promette un accordo politico vincolante, nei fatti l'intesa che firmerà non sarà legalmente vincolante. A Bruxelles chi ha in mano le «carte», i tecnici che di fatto le scrivono, spiega «gli Stati Uniti sono impossibilitati ad arrivare a Copenaghen portando qualcosa di accettabile. Cina e Usa non si vogliono impegnare».
E senza i colossi dell'inquinamento mondiale si rischia un altro fallimento post Tokyo. L'accordo probabile sarà quindi generico, si potrebbe ridurre a una banale riconferma di quanto detto nei vertici precedenti: impegno a tenere l'innalzamento della temperatura sotto i due gradi o le riduzioni globali del 50 per cento entro il 2050. L'altra ipotesi «è definire i principi generali dei finanziamenti e degli aiuti - spiegano da Bruxelles - da destinare ai Paesi in via di sviluppo. Ma i soldi sul tavolo non si metteranno. L'America non è pronta, non è un Paese che va in giro a firmare accordi internazionali».
A questo va aggiunto un ulteriore elemento: gli States non si vincolano legalmente senza un mandato del Congresso che, a oggi, non esiste. E ciò che Obama vuole evitare è fare la figura di Bill Clinton che, di fronte a un Congresso contro Kyoto, alla fine firmò senza poi avere il potere di ratificare. Senza i soldi di America e Cina, quindi, sarà una conferenza Onu in cui parlare di vittoria dell'ambiente potrebbe essere proibitivo. A Bruxelles sperano che, almeno, venga firmato il finanziamento di 100 miliardi di euro, entro il 2020, ai Paesi poveri che soffrono il cambiamento climatico. Se non sarà un successo le prime nazioni a subirne le conseguenze politiche saranno quelle dell'Europa del Nord, anche per il grande investimento effettuato nelle energie rinnovabili e nel taglio di Co2 effettutato in questi anni.
La Danimarca, che ospita la conferenza, sarà tra i Paesi più sconfitti, considerando anche che nel governo danese più di un ministro aveva scommesso la propria casella politica nella riuscita di un accordo. La Svezia viene subito dopo: se sarà un insuccesso Stoccolma avrà chiuso la sua presidenza europea senza aver portato a casa risultati. Intanto, secondo un rapporto redatto da 31 ricercatori di sette Paesi, le riserve naturali di anidride carbonica presenti nel terreno e negli oceani non riescono più a compensare le emissioni del principale gas serra prodotto dall'uomo. America e Cina sono ogni giorno più decisive nella lotta al global warming.
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