lunedì 23 novembre 2009

L’ATTIVISMO DIPLOMATICO DELLA FRANCIA DI SARKOZY

Di Daniel Arbib Tiberi

In questo periodo si è parlato molto della politica dell’Amministrazione Obama in Medio Oriente e delle fratture esistenti tra Gerusalemme e Washington. Pochi però stanno dando la giusta considerazione all’attivismo diplomatico della Francia del Presidente Nicolas Sarkozy, un dinamismo che si sta focalizzando soprattutto nella regione del Mediterraneo e in quella del Golfo Persico.
Proprio in questi giorni, non a caso, il primo inquilino dell’Eliseo è impegnato in un importante viaggio in Arabia Saudita, ultima tappa di quello che appare essere un vero e proprio disegno strategico che i francesi stanno mettendo in atto.
Da quando è entrato in carica, nel maggio del 2007, il Presidente Sarkozy ha infatti messo in atto una serie di azioni che sembrano avere un duplice scopi:

- ridare alla Francia un ruolo di primo piano nella politica internazionale senza però entrare in conflitto diretto con gli Stati Uniti;
- cercare di costruire un “muro” attorno all’Iran, con l’obiettivo di isolarlo sia a livello politico che militare.

Il primo obiettivo la Francia lo sta conseguendo attraverso il rilancio della cooperazione nel Mediterraneo (si pensi all’Unione per il Mediterraneo nata nel luglio del 2008), tramite un dialogo diretto con la Siria – la Francia si è recentemente candidata come sostituta della Turchia per il ruolo di mediatore tra Gerusalemme e Damasco – partecipando ad Unifil 2 e, decisione storica, ritornando a far parte del comando integrato della Nato.
Il secondo aspetto, quello dell’isolamento dell’Iran, Sarkozy lo sta mettendo in pratica attraverso una politica di alleanza con i Paesi che, per ragioni differenti, sono direttamente coinvolti dall’attivismo della Repubblica Islamica. In questo ambito rientra sia la suddetta scelta di dialogare con la Siria – e quindi la volontà di cercare di staccare Damasco dall’attuale alleanza strategica con l’Iran – che la già citata proposta di sostituire Ankara nella mediazione tra la Siria e Israele. A queste due azione in Medio Oriente, vanno aggiunte quelle nel Golfo Persico quali l’apertura di una base militare ad Abu Dhabi (negli Emirati Arabi Uniti) e il viaggio di Sarkozy in Arabia Saudita di questi ultimi giorni. A Riyadh, il Presidente francese è andato a parlare del conflitto israelo-palestinese ma non solo: in ballo ci sono una serie di accordi commerciali, una probabile collaborazione in ambito militare e una possibile cooperazione in materia di sviluppo di un progetto nucleare di tipo civile.
Centrale è il tema del nucleare: i sauditi, così come gli Emirati Arabi Uniti, hanno bisogno di sviluppare un programma energetico alternativo a quello dei combustibili fossili. Il petrolio sta infatti, come noto, raggiungendo il suo “picco” di estrazione e il re Abdullah è ben cosciente di cosa significhi questo nel medio termine.
L’accordo nucleare con la Francia però non deve essere letto solamente in ambito civile: Parigi si è infatti dimostrata disponibile ad allargare il proprio ombrello nucleare militare, la “force de frappe”, ai Paesi del Golfo Persico (Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita in testa) assicurandoli, praticamente, contro l’ipotesi di un attacco militare da parte di un Paese vicino. Ovviamente, non serve neanche dirlo, il solo vicino temibile è l’Iran sciita, vera spina nel fianco delle tradizionali e secolari monarchie sunnite.
Così, mentre Stati Uniti e Francia sfruttano la crisi iraniana per aumentare la loro influenza internazionale, la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) dell’Unione Europea continua ad essere un lontano miraggio. All’attuazione del Trattato di Lisbona e alla nuova Lady PESC Catherine Ashton l’ardua sentenza.

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