venerdì 13 novembre 2009

Cercasi atto d’amore per l'Unione. Barroso a capo del Consiglio europeo

Verso l'insediamento delle figure previste dal trattato di Lisbona
di Federico Eichberg

Fra una settimana l’Europa avrà un numero di telefono. Che potranno chiamare non solo i primi attori della scena internazionale (rispondendo alla ben nota domanda di Kissinger) ma anche i comuni cittadini. Infatti a palazzo Justus Lipsius tutto è pronto per l’insediamento delle figure previste dal trattato di Lisbona. Il dibattito sembra indirizzato su una figura di mr. Pesc (High Rep/Vice Presidente della Commissione) espressione della famiglia socialista europea, mentre ai popolari toccherebbe la carica di presidente “stabile” del Consiglio.Il primo nome ha in un primo momento ricalcato un cliché che vede i britannici “azionisti di maggioranza” della politica estera Ue (dal barone Christopher Soames, fino a Chris Patten ed al duo Mandelson/Ashton). Da più parti si è fatto il nome di David Wright Miliband, attuale Foreign Secretary di Sua Maestà. Un singolare tira e molla in casa labour ha in realtà logorato Miliband portando a un nulla di fatto. È in quel momento che ha preso corpo la candidatura di Massimo D’Alema, forte di un appoggio trasparente e trasversale, conquistato negli anni spesi a Palazzo Chigi e alla Farnesina. Agli apprezzamenti espressi sul contenuto delle sue azioni internazionali occorre qui richiamare anche una virtù di grande importanza in sede Ue, e cioè la capacità di creare consenso attorno alle proposte, quella che in termini tecnici si chiama “leadership”.In questo senso Massimo D’Alema ha dimostrato di saper coagulare attorno a opzioni e proposte un notevole consenso: basti pensare all’approvazione della risoluzione per la moratoria contro la pena di morte in ambito Onu e all’elezione di Giampaolo Di Paola a Presidente del Comitato militare della Nato. Bene ha fatto in tal senso il Governo italiano a ribadire l’appoggio per la sua candidatura e a creare le condizioni perché vi fosse un consenso trasversale alle famiglie politiche.Ora appare singolare che accanto a un nome di prestigio e “peso/paese” si facciano avanti, in seno alla famiglia popolare, proposte per il presidente permanente che godono per certo di minore esperienza internazionale (Van Rompuy) o di decisamente minore “peso/paese” (Junker). Con il rischio, ricordato da Silvestri, che si crei una “quadriga” a capo dell’Unione (presidente del Consiglio stabile, presidente del Consiglio “semestrale”, presidente della Commissione, Mr. Pesc) ad alto rischio inefficacia. Oltretutto, se si considera che il presidente “stabile” è in realtà presidente del Consiglio europeo, quindi un’istituzione che si riunisce, in realtà, solo due volte l’anno.Oggi la famiglia popolare può e deve rompere questi equilibri con un atto d’amore all’Europa. Oggi – a un lustro dall’allargamento e dopo 10 anni di tentativi di riforma istituzionale – la priorità deve essere il funzionamento delle istituzioni e il peso politico dell’Unione (quindi di chi la rappresenta ai vertici). Si potrebbe dunque affermare un principio innovativo che i trattati (volutamente?) non escludono, ovvero cumulare la carica di presidente della Commissione con quella di presidente “stabile” del Consiglio. Manuel Durao Barroso ha realizzato significative riforme nel suo precedente mandato, ma l’innegabile scarsa efficacia che la Commissione ha mostrato su più dossier ha portato a un reciproco “scaricabarile” di responsabilità fra le due istituzioni di Rondpoint Shuman. E – soprattutto – alla constatazione di immobilismo di un’Europa intenta a rimpallarsi responsabilità finendo per perdere credibilità.Far sì che il presidente “stabile” sia anche presidente della Commissione è un atto d’amore verso l’Europa. Significa togliere alibi reciproci. Significa scommettere su un rilancio. Significa pensare a un’Europa futura.

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