Esiste una teoria nel mondo diplomatico, una teoria scientifica. In inglese è nota come rallying around the flag, ovvero il racchiudersi tutti intorno alla bandiera. Che cosa significa? Semplicemente che, in alcuni momenti drammatici, una popolazione può stringersi intorno alla propria bandiera, ovvero intorno a chi li governa, mettendo da parte, in nome del bene più importante, tante questioni aperte sulle quali, magari, ci sarebbero motivi per alzare la voce. Come detto, si tratta di una teoria scientifica, elaborata da John E. Muller, nel suo testo Guerra, Presidenti e opinione pubblica del 1973. Si capisce bene che il “tutti intorno alla bandiera” rappresenta un’arma a doppio taglio: da una parte indica la capacità di una nazione di unirsi nei momenti difficili - si pensi all’eroica resistenza inglese e al sostegno al governo di Lord Churchill durante la Seconda Guerra Mondiale -, dall’altra è anche una forza in mano ai governi per riuscire a superare momenti critici. Il gioco è semplice quanto triste: si provoca una crisi, si accusa un terzo di averla creata e in cambio si ottiene il risultato di distrarre la popolazione e di continuare a mantenere il potere. Secondo quanto appena detto, sembra allora interessante porsi una domanda: il recente attentato kamikaze contro i Pasdaran, ovvero i Guardiani della Rivoluzione, avvenuto nella zona del Baluchistan in Iran è davvero stato opera di “nemici del regime”? Oppure è possibile fare una riflessione più larga e cominciare ad analizzare chi veramente guadagna da questo attacco? L’Iran è ormai sulla bocca dell’intero mondo politico da mesi. Lo è sia per il suo programma nucleare, sia per quanto accaduto alle recenti elezioni presidenziali, contestate, che hanno visto la rielezione di Ahmadinejad. Dalla pubblicazione dei dati ufficiali e dal riconoscimento degli stessi da parte della Guida Suprema Ayatollah Khameney, infatti, una serie di contestazioni di piazza ha scosso il paese. Dopo settimane di manifestazioni, la repressione pare oggi aver avuto la meglio. Attenzione, però: l’Iran che rimane dopo questi fatti è una nazione devastata sia socialmente che economicamente. Ormai il paese è tutt’altro che una Repubblica Islamica: a farla da padroni sono ora i Pasdaran, vere forze armate dello Stato. Alleati fondamentali di Ahmadinejad e della sua corrente ultraconservatrice, hanno in mano una buona parte dell’economia iraniana e sono presenti anche all’interno dell’esecutivo: solo per fare un esempio, l’attuale ministro della Difesa è Ahmad Validi, ex capo dei Pasdaran, accusato dell’attacco al centro ebraico di Buenos Aires che nel 1994 ha causato oltre 80 morti. L’anima teologica, quindi, è stata sempre di più snaturata a favore di quella militarista. Per quanto riguarda le opposizioni, per dirla con un eufemismo, stanno vivendo un pessimo momento. Le minoranze sono sempre più schiacciate e molti dei manifestanti delle settimane di protesta marciscono nelle prigioni, vengono condannati a morte o, alla peggio, fatti sparire. La situazione economica interna è pessima: nonostante le riserve di petrolio, l’Iran non ha grandi capacità di raffinazione e dipende per questo dall’estero. Ahmadinejad ha disperso grandi risorse e il tasso di disoccupazione interno è elevatissimo, a fronte di una popolazione giovanissima. Insomma, alla dirigenza iraniana, per uscire dal vicolo cieco, serve proprio una strategia alternativa. In questo senso, è possibile notare che l’attentato contro i Pasdaran trasforma le Guardie della Rivoluzione da carnefici, repressori delle manifestazioni interne, a vittime. Accusando gli Usa, Israele, la Gran Bretagna e poi il Pakistan di aver compiuto l’attacco, Teheran trova poi dei carnefici su cui scaricare le colpe e una scusa per irrigidire le proprie posizioni diplomatiche. Non appare strano infatti che il presidente Ahmadinejad abbia affermato subito che «la questione del nucleare non è negoziabile». Certamente la zona del Baluchistan, quella dove i Pasdaran sono stati colpiti, è un’area molto instabile. In questa zona operano i ribelli sunniti, i cosiddetti Jandullah - i “soldati di dio” -, milizie vicine ai Talebani e ad al-Qaeda, che hanno appoggi anche all’interno dell’Isi (i servizi segreti pakistani) e che, nel 2005, hanno tentato di uccidere Ahmandinejad. L’attentato, quindi, potrebbe avere diversi responsabili. Dalle milizie sunnite, alle divisioni interne dello stesso gruppo paramilitare dei Pasdaran. Una sola cosa appare certa: il governo iraniano ha trovato subito il modo per sfruttare l’accaduto a proprio vantaggio. La popolazione si stringerà intorno al governo, le voci di dissenso si placheranno (o verranno placate…) in nome del più importante dramma collettivo e la repressione che spetterà alla zona del Beluchistan sarà certamente durissima. Senza contare che, quasi certamente, assisteremo a una recrudescenza degli attacchi delle milizie sciite in Iraq. A fronte di tutto questo, contro tutti e tutto, il regime clerico-militarista iraniano rafforza il suo potere e persevera nella sua, discussa e discutibile, sopravvivenza.
Ipotesi probabile. Ma il dubbio è: sono gli iraniani ad aver scatenato questo scenario? Ad aver ricreato consenso attorno al governo?
RispondiEliminaAttenzione: distinguiamo. Il consenso è una cosa e il sostegno forzato è un'altra.
RispondiEliminaIn fondo non è poi cosi importante se l'attentato sia frutto di una faida interna o se sono stati davvero quelli di Jandullah.
Quello che conta qui è come il regime userà l'accaduto e l'andazzo sembra abbastanza chiaro....