
Il regime egiziano, infatti, ha rappresentato per anni la guida del mondo arabo e, oggi, sotto Mubarak rappresentava il perno della conservazione di un equilibrio che mirava a contenere l’espansionismo dell’Iran. Per questo, è proprio il futuro dell’Egitto che pone maggiori domande: i Fratelli Mussulmani si impadroniranno del potere e trasformeranno Il Cairo in una nuova Teheran? I Fratelli Mussulmani assumeranno il controllo dello Stato e guideranno l’Egitto verso il modello turco? L’Egitto diventerà una democrazia? L’esercito egiziano sostituirà semplicemente Mubarak con una fotocopia “un po’ più chiara”? Difficile dirlo, almeno sinora, e pare inutile “buttarsi ad indovinare”, tanto per vedere chi è il “superanalista”…
Meglio allora concentrarsi su un aspetto differente: com’è stata accolta la rivoluzione egiziana nella Repubblica Islamica? Apparentemente, se ci si attiene alle parole espresse dal regime, piuttosto bene. Nel suo sermone del Venerdì, l’Ayatollah Khamenei ha affermato che le rivolte sono merito della rivoluzione avvenuta in Iran nel 1979 e che un nuovo Medioriente islamico è pronto a sorgere. Di seguito, dopo aver atteso le parole del suo padrone, anche il Segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha ripetuto le stesse affermazioni della Guida Suprema.
Al Cairo non l’hanno presa molto bene: l’idea di farsi guidare dagli sciiti non è piaciuta alle autorità sunnite di Al-Azhar e le parole di Khamenei sono state liquidate come una “inaccettabile intrusione negli affari interni dell’Iran”.
Domanda: davvero l’Iran di Khamenei e Ahmadinejad ama la rivoluzione egiziana? Indubbiamente, nel breve periodo, l’Iran ha tutto da guadagnare dall’instabilità egiziana: una nuova politica estera dell’Egitto, anche secondo il modello Erdogan, porterebbe – probabilmente - i due Paesi a migliorare le loro relazioni diplomatiche (sinora molto basse) ed a firmare accordi economici molto vantaggiosi per entrambi. La retorica antiamericana e anti israeliana, di conseguenza, crescerebbe e l’equilibrio regionale si sposterebbe ancora a favore di Teheran.
Nel medio-lungo periodo, però, il gioco potrebbe rovesciarsi drammaticamente per il regime iraniano: Khamenei avrà anche “adottato” le rivolte arabe, ma la stessa cosa l’hanno fatta quelli dell’Onda Verde, l’opposizione iraniana. Le donne iraniane hanno solidarizzato con le quelle tunisine ed egiziane e Mousavi e Karroubi, per il 14 febbraio (25Bahaman), hanno chiamato a raccolta i giovani iraniani, nonostante il divieto del regime.
Certo, è stato detto e stradetto: il Cairo non è Teheran e viceversa. In Iran, infatti, quasi nessuno (forse) discute il modello di regime vigente. Tanti, troppi, però discutono i leader che guidano la Repubblica Islamica e le trasformazioni avvenute negli ultimi anni. I giovani iraniani, la maggioranza della popolazione, sentono traditi i valori della rivoluzione del 1979, da leader che hanno dato l’intero Paese, militarmente ed economicamente parlando, in mano ai Pasdaran. Giovani che, al contrario dei loro padri, non hanno vissuto il 1979 e la guerra – terribile – contro l’Iraq. Cresciuti con la sola rivoluzione dei media, sono stati proprio gli iraniani, non va dimenticato, i primi a usare i social networks per organizzare le rivolte nel 2009.
Insomma, per farla breve, si tratta di giovani coraggiosi che, anche se ora costretti a subire drammatiche persecuzioni, un domani potrebbero ritornare nelle piazze, proprio in nome di quei valori del 1979 tanto pubblicizzati da Khamenei.
Valori che, agli occhi di questi ragazzi, il regime islamico pare, ormai, aver tradito da tempo…
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