
Il Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato che la Turchia è “sempre disponibile ad addestrare la polizia e i militari dove il sostegno è richiesto”, mentre il Presidente somalo Sharif Sheikh Ahmed, ha ringraziato il Governo turco e ha auspicato che “il migliore addestramento permetta alle forze somale di poter svolgere più adeguatamente il loro dovere”.
La Somalia, un Paese incluso tra i “failed State”, vive praticamente sull’orlo del baratro. Il Governo centrale controlla solamente la capitale Mogadiscio e qualche zona all’esterno della città. Nel resto del Paese, a farla da padroni, sono due gruppi islamici radicali: il movimento Hezb Islam e gli Shebab (legati a doppio filo con al-Qaeda). I due gruppi, per la cronaca, si odiano e si combattono ferocemente.
Nello stesso tempo in cui Turchia e Somalia firmavano l’accordo militare, a Mogadiscio andava in scena l’ennesima battaglia: il Palazzo Presidenziale veniva, infatti, attaccato dai fondamentalisti Shebab. Sul terreno, privi di vita, sono rimasti una trentina di civili inermi e, la caduta della capitale in mano agli insorti, è stato evitato solamente grazie all’intervento del contingente dell’African Union (il contingente è denominato AMISON ed è formata da soldati ugandesi e burundesi).
L’instabilità somala rischia di far precipitare tutta la regione nel caos. Solamente pochi giorni addietro, infatti, una cellula radicale islamica è stata scoperta in Kenya. Il rischio di “contagio”, quindi, rimane drammaticamente alto.
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