"Lealtà è cambiata e i legami strategici che avevamo con la Turchia semplicemente sono finiti”. Queste le parole di un ufficiale israeliano dopo la cancellazione dell’esercitazione aerea della NATO “Anatolian Eagle”. La decisione turca rappresenta perfettamente l’attuale stato delle relazioni tra Israele e Turchia. Ankara infatti, sull’onda del forte sentimento antiisraeliano presente nella società turca - soprattutto dopo l’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza (Piombo fuso) - ha rifiutato la partecipazione dei jet di Tzahal alle simulazioni di combattimento, previste nell’esercitazione NATO.
Questa scelta, tutta politica, è stata spiegata dal governo di Erdogan con la impossibilità di accettare, sul proprio territorio, “gli stessi aerei da combattimento responsabili dei bombardamenti del dicembre 2008 nella Striscia di Gaza”.
La decisione della Turchia non rappresenta solamente un incidente di percorso. Se non è possibile, ovviamente, dichiarare definitivamente morto l’asse strategico tra Israele e Turchia - ancora troppo importante per entrambi gli Stati - è senz’altro facile sostenere che siamo davanti ad un pesate allentamento di rapporti.
Infatti, sebbene il governo di Erdogan si sia proposto come mediatore tra Israele e Siria – un processo di pace attualmente in fase di stallo – non sono mancati momenti di durissimo scontro diplomatico in merito alla delicata questione del conflitto israelo-palestinese.
Brevemente: nel 2004 la Turchia ha denunciato l’uccisione dello sceicco Yassin da parte dell’aviazione israeliana e, nel 2006, ha accolto in pompa magna il leader di Hamas in esilio Khaled Meshal. Recentemente invece, al Forum di Davos del 2009, Erdogan ha descritto Israele come uno “Stato sponsor del terrorismo” mentre Israele, da parte sua, ha invitato la Turchia a “guardarsi allo specchio” in considerazione delle sue azioni militari contro il popolo curdo.
L’allentamento delle relazioni tra Israele e Turchia, rompe una tradizione di cooperazione strategico-economico-militare ormai decennale. Israele rappresenta ancora oggi il primo fornitore di armamenti della Turchia (Israele sta modernizzando i Phantoms F-4 e F-5 turchi) e, dopo l’accordo di libero scambio del 2000, Gerusalemme esporta verso Ankara un quantitativo di beni e servizi del valore di 1,5 miliardi di dollari (importando, a sua volta, dalla Turchia beni e servizi per un valore di 1 miliardo di dollari).
Questo asse strategico però, è figlio di un momento storico ormai in parte superato, fondato su due presupposti: 1 - la Guerra Fredda; 2- una Turchia laicista, che aveva al centro del suo agire politico l’esercito, vero e proprio baluardo del “kemalismo”.
Come noto oggi, almeno ideologicamente, la Guerra Fredda è termina e, con il rafforzamento del potere del “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo”, il laicismo sfrenato della Turchia sembra ormai superato. La sostituzione del Generale Mehmet Yaşar Büyükanıt, simbolo del kemalismo, e il processo “Ergenekon” - processo in atto contro diversi esponenti della cultura e dell’establishment politico e militare accusati di un tentativo di golpe ai danni dell’esecutivo e di numerose altre stragi avvenute nel passato - sembrano aver rafforzato definitivamente la posizione del governo in carica. A questi avvenimenti va aggiunta la crescita politica dell’MHP, Partito Nazionalista Turco, estremamente avverso alle minorante e al kemalismo e diventato la voce dell’oltranzismo religioso dopo le titubanze dell’AKP, durante il primo tentativo di eleggere Abdullah Gul a Presidente della Repubblica nel 2007.
La Turchia insomma sembra, lentamente, cambiare volto, diventando più partecipativa, ma anche ponendo numerosi interrogativi in merito al suo futuro.
In questo senso è possibile quindi fare due considerazioni finali. La prima è che, per assicurarci che la Turchia non cada preda del radicalismo islamico, è necessario che questa mantenga un forte link con l’Europa e con l’Occidente tutto. In questo senso quindi è fondamentale ricucire lo strappo con Israele. L’asse strategico che passa tra Gerusalemme e Ankara, non è soltanto una garanzia di stabilità contro una altra possibile crisi nella regione, ma garantisce anche una stretta contro l’espansionismo iraniano – guardato con diffidenza da tutto il mondo sunnita, Arabia Saudita e Egitto in testa. Infine, l’attuale mediazione turca nella questione israelo-siariana, indica anche una interessante opportunità per rompere l’anomala alleanza tra Damasco e Teheran.
Il rilancio dei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi appare, in questo senso, fondamentale: a Obama, Netanyahu e Abu Mazen l’ardua sentenza.
Daniel Arbib Tiberi
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